09 novembre,
Oggi siamo stati ad un dibattito: “Israel, Hamas and the media coverage of Gaza”. Ho provato una sensazione di disagio nel prendere parte a questo evento. Si è parlato di notizie riportate nel modo erroneo da alcune testate giornalistiche che qui non vengono lette molto (tra le quali l’israeliana Haaretz), ma che sembrano comunque dar voce ai pensieri di molte persone al di fuori del Paese.
Tutti gli interventi erano incentrati su questo tema, con varie slide e video di notizie da altri giornali (N.Y times e L.A times per citarne due) e io mi chiedo quale sia il senso di un evento del genere. C’è davvero bisogno di preoccuparsi così tanto di quello che gli altri stati nel mondo pensano di Israele ? E’ davvero questo il problema principale in questo luogo ? Se Israele non è come viene descritto dai giornali, allora che lo dimostri. Dimostri che non tutti gli ebrei, che non tutti gli israeliani supportano la causa sbagliata, che oltre all’inneggiare all’antisemitismo ogni volta che si può, gli ebrei sanno fare altro. Non credo ci sia miglior modo per farsi rispettare, che rispettare la vita degli altri.
Indubbiamente i media ci mettono del loro per traviare la situazione a loro piacimento, ma tutto questo dispendio di energie non potrebbe forse essere usato per altre cause ?

Perchè ogni notte, quando vado a letto, sento ancora i rumori degli scontri ? Perchè dal Muro del pianto vedo i fuochi d’artificio lanciati a protesta ogni giorno dagli abitanti di Gerusalemme Est?
Sarà un dibattito sul ruolo dei media a cambiare la situazione in qualche modo ?
Io non penso proprio.

Ramallah, West Bank

04 novembre,
Gerusalemme est è il luogo dal quale partono gli autobus arabi che portano nel West Bank.
L. e A. mi sconsigliano prima di tutto di andare a Gerusalemme est e ancora di più di andare nel West Bank, ma è ovvio che il mio essere qui sia anche dettato dal fatto di volerli passare quei checkpoint che ogni giorno vedono arrivare decine di arabi costretti al controllo identità che a me suona così oltraggioso.
Prendo un autobus palestinese per arrivare fino alla porta di Damasco e da lì, a pochi metri di distanza, prendo il pullman per Ramallah. Credo che i pregiudizi rappresentino una grande fetta dei problemi tra le persone. Come se stare in mezzo agli arabi voglia dire mettere a rischio la propria vita in ogni secondo. A chi crede che tutti gli arabi siano terroristi, a chi crede che evitare di visitare in West Bank e invece ritiene figo andare in vacanza a Tel Aviv e passare il tempo a prendere il sole. Se qualcosa deve succedere, può succedere sia quando si è in mezzo agli arabi, agli ebrei, ai cristiani, alle popolazioni di tutto il mondo.
Arrivo a Ramallah ed è assurdo come le cose cambino nel giro di pochissimi km da Gerusalemme.

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Svettano bandiere palestinesi ad ogni angolo e una delle prima cose che mi vengono dette è: “Welcome to Palestine” e allora mi chiedo come sia possibile affermare che la Palestina non esista, non è mai esistita e siano gli arabi a creare tutti i problemi qui. Allora dove sono io ? Dove mi trovo ora che sono accerchiata da negozi che non riportano più scritte in ebraico, e dove tutte le donne portano il velo ?
Questa è Palestina ed esiste davvero.
Forse Ramallah per certi versi dimostra più modernità di altre città, però rimane comunque l’identità che tutte queste persone cercano di mantenere. Rimango solamente poche ore, ma è quello che basta per farmi vedere qualcosa che la mia mente aveva solo immaginato.
L’autobus che porta qui non passa per nessun checkpoint, però vedo il muro di separazione percorrere tutta la strada verso la fermata e mi viene da piangere così forte ma mi sembra di non averne la forza. Non ci sembra che tutto questo rimandi a qualcos’altro di già avvenuto ?
Non è vita questa. Non è vita una vita fatta di contentini da parte delle autorità, il loro lasciar sopravvivere tutte queste città, tutti questi villaggi, ma averne comunque il quasi totale controllo. E per cosa, per un esercizio di stile che dimostri quanto lo stato di Israele debba essere preservato ad ogni costo ?
Certo che ci sono vittime da entrambi i lati, certo che ci siano perdite di vite umane per ragioni assurde, ma questo non cesserà mai fino a quando tutti non capiranno che c’è un modo per coesistere, bisogna solamente volerlo davvero.
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Gerusalemme

Per un motivo o per l’altro Gerusalemme mi è mancata. Non ho sentito lo stesso sentimento per Tel Aviv, che ormai considero alla pari di una qualsiasi capitale europea.
Le giornate qui con Linda e Assaf passano veloci. Mentre loro sono al lavoro, io ne approfitto per godermi un po’ lo stare a casa e “approfittare” della vicinanza alle città palestinesi del West Bank.
Gerusalemme è una città così piena di contraddizioni e contrasti che per me passarci qualche giorno non è mai una perdita di tempo. Mi mancava la vista delle case accatastate che si ha dagli scalini che portano al Muro del Pianto, mi mancava l’ergersi della Cupola della Roccia alla mia sinistra, la voce del Muezzin e i movimenti degli ebrei in preghiera.
L’orario del tramonto in autunno per me ha sempre creato un’atmosfera molto speciale. Sin dagli anni del liceo ricordo che tornare a casa dopo un pomeriggio a scuola, era un momento bellissimo. Ora vedere il tramonto su Gerusalemme ed il percepire quel freddo al quale non sei preparata, camminare e fermarmi per guardare le luci in lontananza, crea dentro me delle sensazioni che in un certo senso posso definire meravigliose.

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Non faccio granchè qui. E’ il sentire quello a cui voglio arrivare, il non fare nulla nella pratica, ma il fare tutto dentro me, il rielaborare ogni singolo momento vissuto finora in questo viaggio e cercare di imprimere la sensazione del freddo sulle mie mani dentro il corpo per non dimenticare mai. Per non dimenticare niente.

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Israele II- Save a child’s heart

26 ottobre,
Oggi sono arrivata alla sede di Save a child’s heart, a Holon.
E’ una struttura molto bella e sia i bambini che le madri sono molto carini e dolci.
Chelsea, la coordinatrice del progetto, mi ha spiegato e fatto vedere tutto ciò che concerne il progetto ed il volontariato in sè.
Ho una compagna di stanza. E’ una ragazza molto carina, è nata e cresciuta ad Ashkelon, una città vicino a Gaza. Mi dice che non ha paura di vivere così vicino a Gaza, che ormai ci è abituata e che questa settimana di volontariato sarà l’ultima cosa che farà prima di prendere servizio nell’esercito. Non ha paura nemmeno di questo, anzi pensa che sia “a nice thing”.
E’ sorpresa quando le dico che in Italia non c’è l’obbligo di prestare servizio, e a dispetto di quello che penso, di quanto sia sbagliato “rubare” due/tre anni di vita ed esperienze a dei ragazzini, mi rendo conto che viviamo in due Paesi completamente diversi.
Quando le chiedo cosa pensa di fare dopo il servizio, mi risponde che non ci ha ancora pensato, che c’è ancora così tanto tempo per rifletterci. Mi sembra che non abbia prospettive particolari. Forse ha solo paura del futuro, come tutti noi.
Sono qui, circondata da bambini e donne provenienti da Paesi come Zanzibar o Etiopia, e mi chiedo davvero il senso del mio venire qui.
27 ottobre,
Non sono riuscita a dormire molto perchè stanotte ho sentito, credo per un’ora dei forti rumori provenire dall’esterno. Sono solo aeroplani che continuano a passare avanti e indietro per ore.
Io e Hadar ci siamo svegliata alle 7.30 e dopo aver fatto colazione siamo scese dai bambini ed abbiamo giocato tantissimo per tutta la mattina. E’ molto difficile per me capire quali attività far fare loro, perchè non ho molti ricordi di giochi di gruppo ed ovviamente i bambini essendo così piccoli e non parlando inglese, non riescono a capirmi sempre.
Le madri ci hanno invitate a pranzare con loro ed è stato un momento molto bello. Loro sono sempre molto rispettose, cucinano e poi rimetteno subito in ordine sia la cucina che il salone.
Durante il pomeriggio ho iniziato a percepire delle strane sensazioni. In un certo momento mi sono sentita in colpa per il mio essere qui. Ho parlato con Avi (un ragazzo che credo incontrerò a breve) e forse nemmeno lui sapeva cosa dirmi. Mi ha solo fatto presente che volendo potrei andare con una sua amica nel West Bank, e la cosa mi ha fatto sentire meglio. Non credo di poter realmente parlare di Israele fino a quando non vedrò almeno un centimetro di Palestina. Sono qui per la seconda volta e non ho ancora avuto la possibilità, o forse semplicemente il coraggio, di affrontare la cosa.
Sempre oggi ho pensato che potrei fare una settimana di volontariato qui e poi fare altro durante l’ultima settimana, magari essere anche solo a Gerusalemme.
Mi sento così confusa, piena di sentimenti contrastanti e non so davvero cosa fare.
28 ottobre,
Mi sono svegliata con un umore strano e anche lievemente male fisicamente e anche ora, mentre sono qui a scrivere questo resoconto, mi sento così.
I bambini sono stati molto carini oggi, e credo abbiano iniziato a provare dei sentimenti positivi nei miei confronti. Nella playroom ci sono anche dei computer, quindi nella maggior parte dei casi è molto difficile farli staccare e cercare di coinvolgerli in altre attività.
Ho parlato molto con Linda in questi giorni ed era molto dispiaciuta per il mio stato d’animo. Penso davvero che dirò a Chelsea che andrò via questa domenica, per essere a Hebron qualche giorni e poi andare a Gerusalemme da Linda.
Mi sembra che nessuno capisca il motivo per il quale io voglia andare nel West Bank, ma a me sembra così ovvio. Tutti mi consigliano di andarci con un tour, ma io cerco di evitare in ogni modo di farlo. Come può non suonare strano dover organizzare dei tour per le città palestinesi che sono a pochi kilometri dalle maggiori città ? A volte mi sembra che le persone pensino che andare nel West Bank sia come andare al circo: ci arrivi con un tour, fai un giro nelle colonie israeliane, parli con qualche palestinese, fai qualche foto e poi sei contento del tuo micro viaggio e puoi considerarlo “cool”. Io non credo funzioni così. Credo che non si possa più nascondere niente, e che se davvero si sente la necessità di visitare determinati luoghi, tantovale farlo contanto sulle proprie forze se si è da soli, come nel mio caso.
29 ottobre,
Oggi è il mio giorno libero. Ho passato la mattinata nella mia stanza perchè non mi sentivo bene fisicamente ed ero anche molto triste.
Dopo pranzo ho preso un pullman per Jaffa e ho fatto un piccolo giro nella zona del porto. Ho sentito la necessità impellente di essere vicino al mare e di sentire il rumore delle onde. C’era molto vento e le vesti delle signore musulmane sedute vicino a me si muovono in un modo bellissimo. C’è una luce non molto forte che crea dei giochi di ombre molto netti sui palazzi. Parlando con Avi, ci mettiamo d’accordo sul vederci quella stessa sera a Tel Aviv. Mi spiega come arrivare alla piazza vicino casa sua, Rabin Square, e poi andiamo da lui. C’è anche una sua amica turca, venuta qui in visita che è molto carina e simpatica. Mangiamo qualcosina sul balcone e credo di sentirmi bene. Sia Avi che Deneme sono più grandi di me e percepisco un divario che comunque viene colmato da argomenti comuni che suscitano momenti molto ilari. Decidiamo di andare in un posto chiamato Cafè Tel Aviv, credo praticamente nella periferia della città ed è un luogo molto carino nel quali alcuni  performano in lingue diverse. Ci sono anche altri amici di Avi e così poi ci avviamo verso casa tutti assieme.
Credo che Avi sia una persona con le idee molto chiare, è molto informato su tanti aspetti della società, sia israeliana che straniera, e non ha nessun tipo di problema nel mostrare le sue idee, anche se sa bene che potrebbero non esere bene accette da tutti. Da molti potrebbe essere considerato un traditore per ciò che pensa e per le vie nelle quali agisce, però io credo che sia uno (spero dei tanti), che ha conservato un minimo di dignità per poter capire che qui la situazione è davvero assurda. Parliamo molto di questa cosa e sentendomi parlare, sono sempre più convinta che capirci qualcosa sia davvero difficile, soprattutto se non si vive in questo contesto per tutti i giorni e per tutto l’anno.
Mi fermo a dormire da lui, e anche se so che dormirò poco, mi sento felice di essere dove sono.
30 ottobre,
Oggi Hadar ha il suo giorno libero, quindi io dovrò stare da sola con i bambini per la maggior parte del tempo. Mi sveglio molto presto per poter prendere il pullman e ritornare a Holon. Quando arrivo alla struttura i bambini mi stanno già aspettando e io so che sarò in crisi nel giro di due minuti perchè non so assolutamente quale attività far loro svolgere. Do un’occhiata all’armadio e penso che a loro piacciono i lavori manuali, quindi penso che potremmo fare insieme dei braccialetti. Sorprendentemente l’idea non sembra fare così schifo perchè la metà di loro viene al tavolo con me, ed alcuni di loro invece preferiscono disegnare.
Sento la mancanza di Hadar, sia come compagna di giochi per i bambini, sia come persona perchè è molto carina e parliamo sempre di molte cose.
Dopo il pisolino i bambini a volte si svegliano un po’ rimbambiti ma a volte sono molto attivi, per fortuna nel pomeriggio sono arrivati altri volontari che si sono divisi con me il compito di far giocare i bambini.
Nel frattempo continuo sempre a pensare a cosa fare nella settimana di viaggio che mi manca, e sono sempre più propensa nel voler andare nel West Bank, anche se la cosa sempre un po’ difficile ora per via del poco tempo che potrei passarci.
Il mio pensiero va sempre lì e ormai non so nemmeno più come sopportare la situazione da sola, è tutto molto pesante anche se la maggior parte delle persone cerca di non farci caso o fa finta di non pensarci.
31 ottobre,
Hadar è tornata ! Mi sento molto più sollevata ora che so di avere l’appoggio di qualcuno che ha passato più tempo con i bambini e che quindi conosce che tipo di attività poter far loro svolgere. Durante la mattinata è venuta anche un’altra volontaria, una signora molto carina che ha portato biscotti e decorazioni.
Qui passiamo dei momenti molto belli. Anche se è brutto fare preferenze, ci sono due bambini, Dismas e Sharifu che mi fanno impazzire, sono bellissimi e soprattutto l’ultimo credo abbia iniziato a volermi bene e mi fa sempre commuovere molto il suo venire da me e darmi la manina o il suo abbracciarmi. Il momento più dolce arriva la sera quando guardiamo un cartone insieme e anche se nè loro nè le madri capiscono l’inglese, si fanno delle grandi risate e sento molto coesione tra di loro. Si aiutano sempre molto.
Meraf e Betty, due delle bambine più grandi ci dicono che i loro compleanni sono rispettivamente oggi per M. e domani per B. quindi io e Hadar, non potendo comprare nulla perchè è Shabbat, decidiamo di far loro uno striscione di compleanno ed usare le candies che abbiamo in camere. Pensiamo anche ad alcuni nuovi giochi e la mama di H. ci aiuta suggerendocene molti che sembrano poter andare bene.
Durante la sera quindi prepariamo tutto ciò che ci serve per l’indomani e nel frattempo parliamo davvero molto e trovo di avere molte cose in comune con H. anche alcuni pensieri riguardanti l’Israele. Mi spiace molto che debba andare nell’esercito perchè sembra molto in gamba e potrebbe sicuramente impiegare meglio il suo tempo invece di rappresentare una nazione che forse di appoggio ne ha già avuto troppo.
Siamo molto contente di poter fare qualcosa per il compleanno di M. e B. e speriamo che porteranno a casa un bel ricordo di noi e del tempo trascorso qui.
1 novembre,
M. e B. sono contente di quello che abbiamo fatto per loro. Iniziamo subito a giocare tantissimo e i bambini sono molto coinvolti nelle attività come non lo erano mai stati. Pranziamo e ceniamo ancora tutti insieme. Io sempre vicina a Sharifu che mi dice “I love you” almeno dieci volte.
Hadar è andata via e mi è venuto da piangere tantissimo perchè mi rendo sempre più conto di quanto a volte le mie azioni siano molto avventate.

2 novembre,
Oggi è il mio ultimo giorno qui al SACH  e sono triste, ma allo stesso tempo felice di potermi spostare di nuovo. Durante la mattinata ed il pomeriggio, arrivano molti visitatori tra i quali una comitiva di credo una trentina di studenti, e insieme ad altri volontari part time la giornata passa molto in fretta.
Decido di rimanere nella hall e parlo molto con Helen, una dolcissima signora che credo si occupi dei vestiti per i piccoli. E’ una donna molto dolce e continua a ripetermi che vuole venire in Italia con me e che è stufa di vivere qui. Quando parliamo del West Bank mi dice che è molto triste, e che anche se dovessero farle sputarle in faccia, questa nazione se lo meriterebbe.
Chelsea prima di salutarmi, mi da la maglietta dell’organizzazione ed un foglio di ringraziamenti. Lascio la sede verso le sei e, prima il pullman per Tel Aviv(con i soliti inconvenienti annessi), e poi quello per Gerusalemme, mi fanno sentire molto più viva di quanto non fossi ad Holon.

Israele II

Al momento della partenza sembra esserci più agitazione dell’altra volta. Una stanza lontana dai check in soliti, dove è tutto aperto, è dedicata solo ai passeggeri del volo diretto a Tel Aviv. E già la cosa mi pesa.
Oltretutto, la strada da percorrere per andare al gate è più lunga di ogni altro volo preso, e forse inizio davvero a capire qualcosa.
Il volo dura circa quattro ore credo, e sull’aereo percepisco un clima molto conviviale del quale però non riesco a capacitarmi. Sembra che nessuno riesca a capire dove sia diretto l’aereo.
Arrivo, ed i soliti cubicoli del controllo passaporti mi mettono ansia. La ragazza che mi fa le domande è molto dura nel modo di porsi, ovviamente. Percepisco una sorta di confusione indotta dal suo interrogarmi.
Quando esco dall’aeroporto trovo subito un taxi e in venti minuti raggiungo l’ostello che si trova in Montefiore Street.  E’ un posto tranquillo, ma ho un perenne stato di sospetto ansia.
Oggi sono stata al mare, dall’ostello ci si arriva in poco tempo, e ricordo che la stessa strada la percorsi con Max l’anno scorso.
Anestesia è la prima parola che mi salta alla mente. Se non fosse per gli annunci in ebraico e le scritte, le persone che scherzano e ridono, penserei di non essere davvero in Israele. Sembra che ogni cosa sia tenuta a bada da un modo di porsi fittizio che alla gente piace, perchè alla gente non importa nulla di nulla.
Avrei voglia di urlare ma sono così allibita da non riuscire a fare niente se non a continuare a guardarmi intorno per imprimere maggiori immagini possibili nella mia testa.

Riflessioni casuali

In Israele sembra tutto così normale. In Italia sento dire che Tel Aviv è una meta gettonata per il clubbing  (non sapevo ci fosse unaparola specifica per descrivere la cosa), e mi chiedo davvero come possa essere possibile. Sento dire che andare in visita al Mar Morto è un’esperienza bellissima, e mi rendo davvero conto per la prima volta, di quanto io mi senta totalmente staccata da tutto questo.

Capisco quanto tutto sia assurdo e terribile.
Oggi, nel pomeriggio, mi siedo al bar e mi guardo intorno. Una signora chiaramente benestante ed anche un po’ spocchiosa, parla di cose così futili da farmi rabbrividire, dei ragazzi bevono birra dopo l’allenamento di calcio, delle ragazzine fanno le splendide come se fosse l’apparenza ad essere realmente importante.
E mi chiedo: Che ruolo hanno tutte queste persone nel mondo? E io che ruolo occupo ? Quanta importanza hanno davvero i miliardi di morti da quando il mondo esiste fino ad oggi ? Quanto davvero la civilizzazione del tuo Paese ti può tenere lontano da tutto l’orrore ?
Ci lamentiamo che le cose in altre parti del mondo facciano schifo, che non sia giusto questo piuttosto che quest’altro, ma cosa facciamo nella pratica per provare a cambiare le cose ? Nulla. Nulla perchè è più comodo vedere foto scattate da altre persone, articoli scritti da non so chi, piuttosto che prendere parte noi stessi al cambiamento, all’evolversi dell’informazione. Preferiamo avere dei pezzi di vetro negli occhi, che riflettano quello che viene mandato in onda alla televisione, quello che leggiamo sui giornali.
Se ci rendessimo davvero conto che tutte le cose (o quasi) delle quali ci circondiamo non sono utili, e se davvero ci importasse qualcosa di tutto ciò che ci accade intorno, forse qualcosa di diverso ci sarebbe. Ma comunque io sto qui a scrivere anche grazie a voi, grazie a me e alla nostra completa e indotta cecità.

Israele I

(Questo è un work molto in progress. Un lavoro che spero si evolverà, quindi leggetelo con la più totale imparzialità senza giudicarlo.)

Tutto quello di cui cercherò di parlare, ammettendo una grande e ancora presente ignoranza di fondo su molti elementi, è semplicemente un racconto di tutto ciò che ho visto e che per un motivo o per l’altro ha sempre fatto parte di me (rubo a John Berger il titolo: “Sul guardare” perchè non mi identifico in niente di più se non in queste due parole).

Il mio viaggio è iniziato molto tempo prima di partire, e ancora oggi non mi spiego il motivo del mio desiderio di partire per Israele (e meno ancora quello di ritornarci quest’anno, testa dura…), ma fatto sta che sono qui a scriverne ad un anno di distanza.

Parto e sono impaurita dal primo viaggio da sola in un luogo del quale non so praticamente nulla, ma al quale mi sento inspiegabilmente legata.
Uno zaino riempito con quello che si ha, cose ovviamente non adatte ad un viaggio, ma anche carico di sentimenti contrastanti e tanta ingenuità.
Max e Lilach mi aspettano all’aeroporto di Ben Gurion con un cartello recante il mio nome e io, con quella poca esperienza all’estero, penso solo a come scusarmi del ritardo dell’aereo e tra me e me penso: <<Come si dice “ritardo” in inglese ? Delay ! >> Ma ci arrivo solo dopo giorni e non mi risparmio una frase tra le più sgrammaticate. Max poi si abituerà alle mie pronunce inventate e alle parole che faccio finta di capire.
Stiamo andando a Ramat Gan, città israeliana della provincia di Tel Aviv.
Casa di M. e L. è un appartamento piccolo ma accogliente all’interno di un condominio che visto dall’esterno non ispira molto. Il divano, quello che poi diventerà il mio letto per molti e molti giorni, dopo un’esperienza di Wwoofing (WWOOF) che non saprei bene come definire, è anche uno dei posti preferiti per ricercare affetto, di Filter, il cane che amo di più al mondo e che mi ha regalato momenti di dolcezza infiniti. Del gatto invece, forse sarebbe meglio non parlare…
Comunque, sono qui, dopo ore di volo e tanta stanchezza.
Il motivo del viaggio, tra i tanti, é il Wwoofing sopra citato, che svolgerò a Netanya, più a nord di Tel Aviv, in un moshav gestito da un certo Amir, che poi imparerò a conoscere (purtroppo)
Mi fermo da M. e L. giusto un paio di giorni e poi la Domenica prendo i mezzi per arrivare al luogo citato. (La settimana lavorativa israeliana va da Domenica a Giovedì, mentre dal tramonto di venerdì e per tutto il giorno seguente è Shabbat, se non sbaglio)
La faccio breve, fate wwoofing perchè è un esperienza davvero meravigliosa che aiuta a capire molto il “dietro le quinte” del mondo imbellettato che ci viene proposto molte volte,  però siate sicuri di arrivare in un posto decente e magari con la possibilità di conoscere altre persone, che è anche un po’ il bello !
Insomma, domenica e il mio arrivo alla farm sembrano prospettare due settimane di lavoro interessanti e coinvolgenti (sembrano..), ma l’unica persona che lavorerà con me in quei giorni, oltre ai tanti thailandesi (?), sarà un ragazzo di San Diego con il quale interagirò per un giorno soltanto.
Per il resto si rivelerà tutto un escalation di pianti, sveglie alle cinque del mattino, docce fatte non so ancora bene come e lunghissime serre nelle quali stare per sei ore.
Ci vorranno mesi per metabolizzare e rivalutare l’esperienza, ma ripensandoci e ridendoci su, sono felice di averla sperimentata.

Di una settimana (sì, sono scappata dopo sette giorni perchè la situazione era davvero al limite), gli unici momenti davvero belli, sono stati quelli passati con i ragazzi thailandesi, in questo caso tre, con i quali parlare era praticamente impossibile. Tra gesti per capirci, viaggi con un carrettino poco affidabile e costruzione di sistemi di irrigazione, sono stati giorni molto pieni e sfiancanti. D’altro canto invece, quando mi toccava stare sola in campi di cetrioli, o ancora peggio di fragole, era tutta un’altra storia. Piccoli momenti tragici ma di una straordinaria spontaneità.   

http://www.osservatorioiraq.it/node/8902

L’arrivo del giorno libero è stato una salvezza. Non ricordo bene nè come nè quando, ma in quei giorni sfogliando la guida(Lonely Planet Israel and the Palestinian Territories), decisi di andare ancora più nord, ad Haifa, per riuscire ad assaporare qualcosa di più almeno del posto nel quale mi trovavo. Preciso che con i mezzi non ci so fare molto, e tante volte mi piace farmi trasportare dagli eventi, quindi il mio arrivare ad Haifa è stato totalmente affidato al caso. Pullman su pullman e passaggi in macchina da persone non proprio normali (rischi dell’autostop), arrivo in una città che è una delle più belle visitate.
Decido di stare fuori per la notte e di far così capire ad Amir che nemmeno sotto tortura sarei rimasta un’altra settimana da lui. Cammino e cerco di rintracciare ostelli che con poco preavviso possano offrirmi un letto. Ne trovo uno (Port Inn guest house), che scopro poi essere al completo e nel quale l’unico posto disponibile, era la così chiamata “emergency room”, ovvero una branda nel corridoio, separata da una tendina.
Ora, va bene l’avventura, va bene il risparmio, ma almeno per una notte voglio dormire per davvero. Ringrazio il gestore dell’ostello e ritorno sui miei passi, dove, fortunatamente trovo un altro ostello(Yafo82 guest house), gestito da un signore molto simpatico del quale vorrei tanto ricordare il nome, che mi offre un letto e anche qualche parola gentile. Scopro poi che uno dei dipendenti è un italiano ormai trapiantato a Haifa con moglie e figli, gentilissimo anche lui, che si offre di accompagnarmi a prendere qualcosa da mangiare.
Il giorno seguente proseguo ancora più a nord. Akko (Acri) con la sua città vecchia considerata dall’UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità.
Insomma, i gruppi di turisti che la affollano mi fanno capire che sto andando nella direzione giusta. Camminando, decido di entrare in un negozietto, nel quale faccio la conoscenza di un signore di cui purtroppo non ricordo esattamente le origini e la storia, ed è un peccato perchè sarebbe stato molto interessante da raccontare, e di suo nipote.
Lui, Shahiq (decifro questo nome sul post che mi ha lasciato), si offre di farmi da guida per la città. Ritorniamo nella moschea nella quale ero stata precedentemente ma della quale non sapevo nulla, e riusciamo a salire al volo-beh, più o meno, su una barca per turisti stupidi che però da una visuale della costa che non è poi così male, a dispetto di tutto il resto.

Si offre di pagarmi tutto, dal pranzo a qualsiasi altra cosa e poco prima del mio ritorno a Netanya, mi porta davanti al mare. Dagli scogli in lontananza si vede il Libano dice lui ed io rimango inerme quando le uniche sue parole che ricordo in modo vivido, ora tradotte, sono: “ascolta il rumore delle onde sugli scogli”.
Cerca di spronarmi a restare un altro giorno come ospite, ma vuoi per senso del dovere ( ma cosa diavolo avevo in testa ?!) nei confronti di Amir sia per paura, decido di ritornare alla farm.
Dico subito ad Amir che voglio andare via e cerco di capire in poco tempo, dove andare. Chiamo M. e L. anche se mi sento in colpa. Mi dicono che posso stare da loro per un po’ e così pochi giorni dopo sono di nuovo a Ramat Gan con nuove storie da raccontare a quei due amici che comunque, anche se forse stanchi di ospitarmi, ci sono sempre.
Non riesco a scandire benissimo il tempo nei giorni seguenti, però ricordo che mi sentivo bene ed ero felice di essere di nuovo con loro. Ricordo (sempre vagamente) che L. lavorava praticamente sempre, quindi la maggior parte del mio tempo la passavo con M. che è davvero una persona fantastica. Ricordo un viaggio in pullman durante il quale cercava di insegnarmi la lettura di alcune frasi in ebraico, sorpreso del fatto che io riuscissi a recitare (a pappagallo da una canzone per bambini imparata su youtube), l’alfabeto ebraico.
Io ho vissuto da esterna, in un luogo che il conflitto lo percepisce in un modo moltro traviato (dal mio punto di vista). Mi spiego meglio, probabilmente se fossi stata in una città dei Territori Palestinesi, avrei sentito molto di più di essere in un luogo totalmente diverso da casa. Ma Tel Aviv è Tel Aviv, lei va avanti tra palazzi altissimi e traffico a tutte le ore, tra Sherut (taxi collettivi) che suonano il clacson come se fossero pagati per quello. Quando per caso finisci a Bnei Brak, una città abitata da ebrei haredim, ovvero la forma più conservatrice dell’ebraismo ortodosso, ti rendi conto di quante realtà convivono e si mischiano all’improvviso come se niente fosse. A Bnei Brak ci sono finita quando ho deciso di andare a trovare un’amica a Gerusalemme, Linda (mia madrelingua durante un anno di liceo ed ora un’amica con la quale ho sempre piacere di parlare)

Da Bnei Brak, il viaggio per Gerusalemme non dura moltissimo, o almeno a me sembra così, e quando arrivo, non riesco bene a capire cosa sento. Il pullman ferma alla Stazione Centrale e da lì mi incammino per andare nel quartiere di Nachlaot dove si trova casa di Linda. Gerusalemme, per quanto ho potuto capire, è divisa in quartieri e quello di Nachlaot se non erro, è considerato il “quartiere degli artisti” (ricordo che è un work in progress quindi lancio ricordi totalmente casuali).
La prima richiesta che ho per Linda, è quella di andare a vedere la città vecchia. Orientarsi a Gerusalemme per me è stato molto più facile che in ogni altra città. Mi perdevo ma riuscivo quasi subito a ritrovare la strada verso casa.
La città vecchia non la si può spiegare bene finchè non la si vede con i propri occhi. Potete vedere il Muro del Pianto, La Chiesa del Santo Sepolcro, la Moschea di Al-Aqsa, La Cupola della Roccia e tutto a pochi passi di distanza.
Varie entrate portano all’interno delle Mura e solo ora realizzo che i momenti più belli tra le mura sono stati quelli in cui, tornataci da sola, mi sono persa in uno dei suoi piccoli quartieri, dove un bambino arabo mi ha aiutato a ritrovare la strada ed un soldato mi ha invece vietato il passaggio per una via (il motivo poi non l’ho ancora capito, ma credo che molte volte nemmeno ci sia)
E’ una città dentro la città, potete trovarci di tutto se siete dei turisti incalliti alla ricerca di foto da postare, semplicemente dei religiosi o se siete degli osservatori come me.
Un breve riassunto di un viaggio che mi ha fatto vedere pochissimo di quello che un luogo può offire, in termini di racconti, vissuti, volti e situazioni. Ma che sono sicura quest’anno mi porterà a scoprire nuove cose, forse anche su me stessa in relazione alle altre persone.

Voglio spendere qualche parola sui controlli aeroportuali all’uscita del Paese. Per quanto io in realtà non sia stata tediata molto con domande relative al mio soggiorno, ho trovato divertente, oltre alla domanda: “any weapons ?” come se uno che davvero possiede un’arma vada a dirlo ai soldati che lo interrogano, come se fosse normale. Dicevo, la cosa divertente è relativa alle domande sul mio vissuto personale che poco centravano con un viaggio in Israele. Spero che almeno quest’anno sappiano fare di meglio ! (la metto sul ridere dai)

Quest’anno sarò qui: SACH ma sarò anche in tanti altri posti, con la mente, con il cuore, con le emozioni.